Doveva essere una gig come un’altra, certo, erano belli potenti su quei due 45 giri che avevano inciso, ma di gente potente in giro ce n’era parecchia, e questi ragazzini di Stoke-on-Trent non sembrava avessero le carte per fare chissacché. Comunque andiamo, da Clapham (a sud di Londra, confinante con Brixton) a Camden (nord di Londra!) la strada è lunga. All’andata dobbiamo cambiare un’autobus e due metropolitane, e per il ritorno sappiamo già che dovremo prendere il night-bus (uno all’ora) fino a Trafalgar Square e da lì a piedi, alle tre di notte. Siamo preparati, ultimamente l’avevamo fatto spesso, la settimana prima avevamo visto nello stesso locale gli U.K. Subs e il giorno prima i Manufactured Romance. Il Music Machine anche all’interno mantiene quello che promette dall’esterno, con palchetti protetti da balaustre ottocentesche, divani in velluto rosso, enormi lampadari di cristallo, proprio un teatro come dio comanda, e con un’eleganza che, incredibilmente, non stona più di tanto con la ricercata trasandatezza delle centinaia di punks e skins che lo popolavano in quelle occasioni. Proprio in questo locale stava nascendo il fenomeno new-romantic, dal cui matrimonio con il punk nascerà il gothic/dark, e le altre sere erano sempre più frequentemente loro.
Quando arriviamo è già bello pieno, come al solito del resto, e noi ci sparpagliamo, chi va a prendersi una pinta, chi si mette a parlare con qualcuno che conosce, chi tampina le punks e chi si guarda in giro. Il Pera ed io ci cucchiamo due posti appoggiati alla balaustra che circonda il lato del palco, e ci beviamo la nostra birra chiaccherando e aspettando il concerto. Forse aveva già suonato la band di supporto, o forse ce la siamo cuccati, adesso non ricordo, comunque...
il MUSIC MACHINE, poi rinominato Camden Palace, adesso Koko
Entrano sul palco, vediamo subito che sono diversi dagli altri: avevano l’aspetto più incazzoso e disperato degli U.K. Subs, giusto per fare un esempio. Sembravano più tipi che quando non suonavano facevano colletta per le strade, erano abbastanza laceri, e pure ben bevuti. Attaccano e un muro di suono respinge tutti: e sì che il pubblico presente non era certo nuovo a manifestazioni di distorsione a mille, ma così omogenea e senza apparenza di canzone, eppure così’ tesa e arrabbiata e “musicale” era forse la prima volta che la sentivamo. Erano precisi, potenti e tecnicamente capaci, cosa non comune nell’ambiente (pensate a Gaye Advert o Sid Vicious): il bassista dei Discharge faceva correre come un dannato le dita sulla tastiera, e sapeva perfettamente dove le stava mettendo! Il chitarrista ci impressionava di meno: era capace, sicuramente, ma come chitarristi ce n’erano di molto migliori in giro, lui faceva un bel casino, quello sì. Anche il batterista non sembrava eccezionale, pure quella dei bravi batteristi è una categoria abbastanza affollata, da Rat Scabies in poi. Il cantante non cantava, urlava, come nemmeno Johnny Rotten si era mai sognato di fare. I Crass, altro gruppo allora molto di moda tra i più oltranzisti, declamavano, a volte urlavano, ma non erano incazzati neri come ‘sto qua.
(in questo video, di 2 anni dopo, erano già melodici...)
Le canzoni, o forse è meglio chiamarle “i pezzi”, erano tutti abbastanza simili l’uno all’altro, e dopo un pò, personalmente, io e il Pera eravamo un pò stufi, forse perchè non eravamo in mezzo al pogo, dove però avevamo visto tra la massa saltellante anche Jello Biafra, abbastanza scatenato: i Dead Kennedys avevano suonato a Londra qualche settimana prima e immagino lui si sarà fermato per un pò a vedere la situazione aldiqua dell’Atlantico (questa la versione più romantica, magari erano solo ragioni di business, chi lo sa? Jello è comunque un grande!), e avevamo anche pensato di scendere e andare a conoscerlo, ma abbiamo rinunciato e preferito restare con le nostre birre. A risvegliarci un pò dal torpore (che, ad onor del vero, forse era solo nostro, quelli che pogavano sembravano apprezzare!) fu un omaggio che ci rivolse Cal, il cantante: nel mezzo di una canzone si girò rapidamente verso di noi, (ma non intenzionalmente, eravamo solo i più vicini!) e vomitò tutto il sidro (quella bevanda dolciastra e alcoolica che gli inglesi ricavano dalle mele e sono capaci di ingurgitare a litri) a 30 cm. di distanza da noi, inzaccherandoci anche gli anfibi (li avessi tenuti, varrebbero una fortuna su ebay?) e se ne tornò a sbraitare nel microfono come se tutto facesse parte della performance, forse aveva saltato una strofa ma gli altri avevano continuato imperterriti. Questo non ci aiutò a conservare un’opinione migliore del gruppo. Quando finì il concerto, uscimmo a radunarci presso l’entrata: facevamo sempre così, era un ottimo sistema per tornare a casa insieme, visto che girare per ore da soli nella notte londinese conciati come eravamo non era forse la cosa più salutare. Siamo appunto lì fuori dal Music Machine, che chiaccheriamo aspettando che escano gli ultimi del gruppo (penso fossimo circa una decina, forse qualcuno in più, incluse le due o tre ragazze: ricordo Grazia di Guastalla e Marisa di La Spezia, se le conoscete salutatemele!), quando un gruppetto di cinque o sei skins, vicino a noi, sentendo che siamo italiani, comincia a sfotterci: itchaliah... spaghetchi... vaafanculow...
Decidiamo di non reagire, abbiamo passato una bella serata e non abbiamo voglia di rogne, non siamo particolarmente fieri della nostra italianità e siamo abituati a provocazioni ben più pesanti; inoltre, anche se noi siamo in una decina, donne comprese, loro sono certamente più grossi e allenati a questo genere di cose. Loro continuano, finchè ad un certo punto il Ciano di Brescia non ce la fa più e dice: “adesso vado da quello stronzo (era soprattutto uno che sembrava avercela con noi, gli altri si limitavano a ridacchiare) e gli dico di risolverla tra me e lui. Andiamo lì dietro e ce le diamo” e parte verso di loro. Parlano per un attimo, poi Ciano e lo skin si avviano verso il retro del Music Machine. Un secondo dopo gli altri skins li seguono, spaccando le bottiglie di birra che avevano in mano per farsi le armi. Noi gridiamo “Ciano, scappa, ti stanno venendo addosso tutti con le bottiglie”, ma anche lui le aveva sentito rompere, così vista l’impossibilità di affrontarsi onestamente, si gira e comincia a scappare nella nostra direzione, noi con lui e loro ci vengono dietro. Corriamo tutti come dei matti, la strada che dobbiamo fare è lunga e dritta, ogni tanto ci giriamo per vedere se ci prendono, stiamo per attraversare una laterale, senza preoccuparci di guardare se arrivano macchine, e evitiamo la morte per un pelo quando un camion ci sfiora a tutta velocità, sua e nostra: riusciamo a fermarci a meno di dieci centimetri, sentiamo il suo calore sul naso. Phew! (in italiano: Fiùu!) Riprendiamo a correre, dopo un pò non li vediamo più: si devono essere fermati, pensiamo, ma forse invece ci stanno per superare passando da qualche strada secondaria, così continuiamo a correre per un altro pò. Alla fine, stremati, ci fermiamo: ci accorgiamo che uno non è con noi, e non sappiamo come può essere successo. Con ogni probabilità si sarà buttato in qualche vietta laterale nascondendosi, e arriverà a casa per conto suo, tutti noi avevamo bevuto abbastanza quella sera, ma lui era proprio fuori, non so cosa avesse fatto. Arriviamo a Trafalgar Square, aspettiamo il nostro autobus per Brixton e ce ne torniamo allo squat, pensando che forse era già arrivato. Arrivò invece la mattina dopo, brutalmente pestato e con dei denti rotti: grazie alle sue condizioni psico-fisiche, non si era accorto che tutti noi avevamo cominciato a scappare, ed era rimasto lì. Mentre il resto degli skins continuava a correrci dietro, un paio si erano fermati e l’avevano massacrato. Poco tempo dopo Claudio, il Johnny Rotten di Vicenza, andò via da Londra, si trasferì a Berlino e diventò lui stesso skinhead ma, come si suol dire, questa è un'altra storia.