Cosa non ha funzionato? Perché il punk non è stato preso sul serio (in Italia) e, quando è diventato una cosa seria, non era più punk? Per cominciare, come già detto, all’inizio la moda punk non è stata una rivolta dei giovani, ma un passatempo borghese (ATTENZIONE: si sta parlando del 77/78, dopo è stato diverso).
eccola, la nuova onda italiana: Ruggeri, Righeira... I primi dischi “autoprodotti” erano fatti con i soldi di papà, e lo sapevano tutti (fare un disco di vinile, anche solo un 45 giri con 2 canzoni, costava almeno una milionata di vecchie lire: chi ci provava, o pensava almeno di recuperare le spese vendendolo ai concerti, cosa che per i primi complessi punk italiani non era possibile perché di concerti non se ne parlava o quasi, o lo faceva per sfizio perché poteva permetterselo, e questo è il caso di tutte le nostre prime autoproduzioni: ben diverso il discorso negli anni successivi quando, essendosi sviluppata una “scena”, le 500/1000 copie del disco si riusciva a sballarle abbastanza facilmente e quindi rientrare dalle spese), per cui, giustamente, non si sono elevati al rango di “grido generazionale”, ma semplicemente sono rimasti dei prodotti velleitari. Secondariamente, se vuoi una rivolta, devi perlomeno farlo capire, e aizzare gli italiani con testi in inglese (con la scusa che suona meglio…) semplicemente non funzia. C’è poi stata la manovra dell’industria discografica, che, nonostante avesse provato a proporne la versione nostrana con gli Incesti, e quella straniera con Plastic Bertrand, non riusciva a trovare degli adeguati modelli italiani, e così tentò di spacciare per punk una giovane Anna Oxa, debuttante a Sanremo in cravatta slacciata, occhi bistrati e guanto tagliato. Però cantava melodico, e non funzionò. Allora, seguendo il motto “una risata vi seppellirà”, usò l’artiglieria pesante: Tony Santagata con “I love the punk (pronuncia: ai, lavete punk)” e Andrea Mingardi “Pus” (contenente la mitica “sopra il punk la capra camp, sotto il punk la capra crep”, e la sublime ”Il papank e la mamank vanno in giro a dir che sono stank di avere un figlio punk che senz'altro una rotella gli mank”…).
Ma quello che penalizzò maggiormente il movimento fu l’esterofilia e il ritardo con cui le notizie ci arrivavano: il punk in Italia partì quando all’estero era già in fase calante, e gli stavano facendo le scarpe le nuove ondate dello ska, della new-wave, della musica skinhead e, seppur in maniera minore, del rockabilly, quindi da noi i ragazzi con interessi “nuovi” si trovarono a dover scegliere tra le nuove tendenze secondarie prima ancora di aver assimilato quella primaria. Per quanto riguarda l’esterofilia, è un nostro male atavico, per cui i più ganzi erano quelli con le creepers originali, i bondage trousers comprati a king’s road e le magliette di boy o di seditionaries, indipendentemente dal fatto che chi poteva permettersi quella roba non aveva molte ragioni per contestare il sistema capitalistico! quanti riuscite a riconoscerne? in primo piano c'è Carlo (Bounty Scarponacci) dei Raf Punk / CCCP, sul fondo, appoggiato alla tenda, Steno dei Nabat, in mezzo Riccardo (sempre Nabat), e poi... Non dimentichiamo che qui non si parla del ’77 ma almeno del ’79, quando tanti che ascoltavano la musica lo facevano in completa solitudine o al massimo con qualche amico, ma era una passione da cospiratori, come il bel titolo del libro “punk alla carbonara” di Elettro e Glezos suggerisce, quindi trovare delle persone con cui condividere questa passione per molti era un’ ipotesi surreale. La spinta individualista che ha portato alla nascita di gruppi completamente differenti tra loro per look, idee e musica (pensate a Slaughter and the Dogs e X-Ray-Spex, Eater e Only Ones, Subway Sect e Cocksparrer, per non parlare dei devianti come Fall e Pop Group) ma accomunabili tutti sotto l’etichetta “punk” qui non ha dato i suoi frutti: i nostri complessi, quanto a originalità, non hanno certo brillato. Indubbiamente i confini si allargarono, anche per questa facilità di mimetizzarsi coi “normali” se l’occasione lo richiedeva, e molta più gente cominciò a seguire i concerti che, paradossalmente, diventarono sempre più cattivi, come linguaggio politico e anche come pogo sotto il palco, proprio mentre tutta la scena si stava annacquando, non solo a livello italiano ma globale. Altra conseguenza diretta dell’esterofilia dilagante è stata la divisione in bande, che da noi avevano veramente poco senso di esistere: se con l’arrivo degli skins le posizioni erano veramente divergenti, che ci fossero scontri tra punks e mods, con quattro gatti da una parte e quattro dall’altra, ha veramente del ridicolo. Eppure erano abbastanza comuni le risse e gli inseguimenti tra ragazzi che ascoltavano quasi la stessa musica, andavano negli stessi negozi a comperarsela e magari anche nelle stesse birrerie o discoteche perché erano gli unici posti a suonare qualcosa di alternativo! e qui? foto scattata nell'83 al Teatro Laboratorio di Verona, ci sono un pò tutti (Wretched, Philopat, metà redazione di TVOR, con anche il mitico fotografo Cuso)...
Vivere in case occupate e beccare il sussidio di disoccupazione è stato un magnete che ha attirato tantissimi ragazzi che pensavano fosse il massimo della vita, salvo poi realizzare che i meccanismi che regolano l’esistenza umana sono gli stessi dappertutto, quindi i dritti prosperano e gli altri arrancano. C’erano quelli che riuscivano a prendersi 4 sussidi settimanali (con nomi falsi o documenti di amici già tornati in Italia) e quelli che facevano colletta per le strade e a fine giornata, dopo aver racimolato 2 misere sterline, si ponevano la domanda: e adesso cosa mi compro, il fish and chips o la colla?
Londra aveva poi un bonus: essendo una città turistica, c’era pieno di ragazze da tutto il mondo, in gita scolastica, vacanza studio o cose simili, e curiose di vedere i punk nel loro ambiente, libere di comportarsi in maniere che a casa non si sarebbero potute nemmeno sognare, pena la rovina della reputazione, e pronte a rotolarsi nelle lenzuola del primo fascinoso punkerozzo che gli apriva la porta dello squat. Gli inglesi a queste cose non badano, loro se vanno al pub è per farsi il pieno di birra, ma gli italiani sì che ci pensano, e così a Londra si era creata anche un’elite di vitelloni post-punk emigrati italiani che stazionavano in certi pub di Soho (l’Intrepid Fox su tutti) pronti a soddisfare qualunque giovane turista: per loro era una missione portarsene a casa una diversa ogni sera, e tra tutta quella marea di ragazze finlandesi, francesi o americane le italiane erano le più desiderose di vedere da vicino la boheme punk. Pensateci, quando le vostre amiche vi dicono che sono state a Londra e hanno conosciuto dei punk simpatici…
In tanti a Londra comunque si sono inseriti nei gruppi più radicali della scena inglese, alcuni hanno anche fatto parte di complessi o hanno fatto scelte diverse (tanti sono anche cascati nell’ero) ma dopo un buon periodo di permanenza, molti hanno cercato di sfruttare la situazione, che in fin dei conti era la realizzazione del sogno “sex & drugs & rock and roll”, da cui è partito tutto.
Per cui: pochi, confusi, in ritardo sulla storia e limitati da un’Italia che comunque non offriva (e non offre) nessun appoggio a questo tipo di iniziative, il punk (o meglio, l’hardcore punk) nel suo tempo non è stato in grado di espandersi e di influenzare nulla: è stato poi sottomesso dalle istituzioni che, consegnandogli i Centri Sociali, sono riuscite a rinchiudere e a tenere okkupate le frange più estremiste e potenzialmente pericolose, che, essendo state responsabilizzate con l’affidamento da parte delle amministrazioni dei CS, si sono trovate a gestire problematiche contingenti tipo i cessi che non funzionavano, l’organizzazione dei concerti, i disguidi da fotocopiatrice eccetera eccetera. E’ riuscito però a creare quella rete (ben prima delle nuove tecnologie e… della Rete!) di contatti che ha fatto sentire i ragazzi italiani parte di un unico gruppo (con gli aggiornamenti sulla scena mondiale pubblicati dalla fanzine americana Maximum Rock & Roll il Pianeta è diventato un unico gruppo), in lotta contro obiettivi comuni e, soprattutto, coscienti di non essere i soli a pensarla in una certa maniera, e questo, particolarmente per quelli che non vivono nei grandi centri, è forse la cosa più importante. (2 - continua...)
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