|
Nel febbraio del 1973 Amica, settimanale del Corriere della Sera, promosse un'esplorazione nel mondo dei giovani, condotta da Cesare Armano, e a Verona, presso la galleria d'arte La Meridiana, concluse l'intervista con questa frase, attribuita ad un gruppo molto attivo di veronesi: "La società si sta rinchiudendo, siamo rimasti in pochissimi. Ed ora volano botte di cattivo augurio".
Il settimanale proseguì commentando: - Prendono atto, con rammarico e malinconia, che la contestazione è finita, almeno a Verona, senza grandi risultati, e si trovano impegnati nel farne un bilancio, spesso pieno di punte polemiche - "Lavorare, domani, vorrà dire chinare la testa, accettando l'ordine già stabilito, rinunziare a tutto ciò in cui abbiamo creduto fino ad ieri". Ed a cosa credessero i giovani veronesi in quegli anni è riassunto in una statistica che l'agenzia Doxa effettuò su un campione di 2600 giovani (maschi e femmine) e che venne riportata sullo stesso numero della rivista: “I cambiamenti più desiderati riguarderebbero i seguenti punti:
- L'ordinamento sociale nel suo complesso, in quanto in Italia si dimostra assai antiquato
- La mentalità autoritaria e paternalistica che permea ancora tante istituzioni e troppi adulti
- La moralità pubblica, che si esprime come corruzione, favoritismo, sottogoverno, arrivismo.
- L'ingiustizia e le troppo gravi differenze di tipo economico tra gruppi diversi di cittadini.
Un'indagine di questo tipo, forse oggi, darebbe dei risultati molto differenti, infatti allora la società era ancora permeata degli effetti della contestazione sessantottina che aveva generato nuovi movimenti di pensiero, sia in politica che nel costume, producendo il fenomeno chiamato Hippy.
Quest'ultimo riempì le piazze di Verona di un variopinto ed allegro popolo di giovani italiani e stranieri. Infatti le nuove filosofie, basate sui concetti di ospitalità e tolleranza, avevano promosso delle autentiche migrazioni. Così i veronesi, come tutti gli altri ragazzi europei, scoprirono le vie per l'India, considerata grande madre della meditazione, e la stessa città, trovandosi sulla strada per l'oriente, vide transitare giovani francesi, olandesi, spagnoli, danesi e tedeschi dai lunghi capelli e muniti di chitarra e sacco a pelo che si mescolarono ai ragazzi veronesi che assimilarono velocemente le novità portate dai viaggiatori, come le canzoni di Bob Dylan e Jimi Hendrix, e naturalmente i primi spinelli. Questi ultimi si diffusero a macchia d'olio, e non solo fra il popolo hippy che ne apprezzava le proprietà comunicative, ma vennero adottati anche dalla gente bene della città in cerca di esperienze proibite. La magica erba fu contestata solo dai politici impegnati che videro in essa un trucco del potere per ammansire l'ardore rivoluzionario.
Quindi all'inizio tutto andò bene. Lo spinello circolò gratuitamente, e chi poteva procurarselo considerò un piacere offrirlo. Ma presto alcuni dei ragazzi iniziarono a capire che la Marijuana fosse anche un affare, e ne fecero un commercio, rompendo la bolla magica che fino ad allora aveva avvolto questo tipo di esperienze. E un po' alla volta alle droghe leggere si aggiunsero gli "acidi" e l'eroina, alla cui diffusione, per anni, non vennero posti ostacoli, né dalle autorità, che si limitarono ad arrestare qualche drogato, senza programmare un sistema di informazione difensiva, né dai giovani che, avendo da poco scoperto come tutto il proibito fino allora fosse buono, cioè l'amore libero, la vita in comune, e lo spinello, non seppero capire come dietro alle droghe pesanti si nascondesse il fantasma della tossicodipendenza che avrebbe annientato un'intera generazione, portando tanti ragazzi all'emarginazione e spesso alla morte. E così ben presto il bel sogno cominciò a dissolversi sotto l'attacco delle droghe pesanti e della reazione dei benpensanti, più preoccupati e scandalizzati dall'idea dell'amore libero che dall'eroina stessa. Venne così gettato quel seme che diede successivamente alla nostra città, negli anni ottanta, il primato del traffico di droga. Ma l'esperienza non fu solo negativa, in quanto il diffondersi di una cultura internazionale, il contatto con il mondo indiano, e l'ondata di speranza influirono positivamente sull'arte, la musica, la moda e la stessa architettura. Fu in quegli anni infatti che Elio Fiorucci scopri i laboratori turchi, afgani ed indiani, imponendo al mondo della moda uno stile vivace e colorato. Lo stesso fece Gato Barbieri mescolando note orientali alla musica classica. Quindi, nonostante la barriera del tradizionalismo, il nuovo modo di pensare si infiltrò ovunque: fra i designers, influenzando le costruzioni delle case, degli edifìci aeroportuali, delle auto, e degli stessi elettrodomestici, e fra gli insegnanti che iniziarono ad applicare metodi didattici più moderni.
Se Verona fu interessata solo marginalmente dal fenomeno hippy, si trovò invece al centro della contestazione politica anticipando il famoso '68. Infatti nella città di Giulietta e Romeo nel 1967 fu fondata la Comune di Verona, il primo gruppo extraparlamentare italiano, alla cui creazione partecipò quel Renato Curcio che anni dopo riapparve a capo delle Brigate Rosse. Probabilmente la vicinanza della città scaligera a Trento,che nella sua facoltà di Sociologia aveva ospitato molti dei futuri rivoluzionari, ebbe la sua importanza, infatti anche da noi gli studenti, per la maggior parte figli di borghesi, scoprirono la differenza fra gli ideali a cui erano stati educati, e il comportamento della società, e denunciarono la schizofrenia di un mondo che predicava l'amore per il prossimo ed il concetto di eguaglianza, dove invece regnava l'indifferenza per il prossimo e la totale prevaricazione dei potenti, una caratteristica veronese, ben descritta nei libri "La città e lo psichiatra" di Vittorino Andreoli e "L'Isolina" di Dacia Maraini.
Fu allora che la redazione veronese dì ABC, un settimanale nazionale, si permise di attaccare, per la prima volta in prima pagina, veronesi potenti, come l’allora ministro delle finanze GiuseppeTrabucchi, o il fratello Cherubino, direttore del manicomio dì Marzana, che tentò di impedire la diffusione della rivista nella città. Quella volta il settimanale venne distribuito gratuitamente in piazza Bra durante il passeggio. Non fu risparmiato nessuno anzi gli scatenati cronisti esportarono le loro inchieste attaccando il vescovo di Vicenza, che risolse il problema con un abile ma costoso stratagemma, facendo acquistare tutte la copie di ABC.
All'inizio la città non reagì, sperando che l'uragano si esaurisse spontaneamente, e che l'ordine che aveva sempre regnato nelle pie città venete venisse presto restaurato. Ma vi fu chi la prese male, così ebbero inizio gli scontri fra estremisti, che degenerarono in una sommersa ma cruenta battaglia fatta di agguati sotto casa, teste rotte, e pronte rappresaglie. E fu allora che toccò alla destra donare un primato negativo a Verona. infatti da quegli anni non vi fu più inchiesta, riguardante bombe, attentati, e perfino intromissioni nella politica di paesi esteri, che non scoprisse coinvolto qualche veronese. Eppure il vento nuovo portò anche delle cose positive tanto da scuotere dalle fondamenta i preconcetti della città murata. Ad esempio i giovani, che non erano tutti estremisti, cominciarono ad apprendere il significato di parole come solidarietà e comunicazione che fino ad allora erano rimaste prerogative delle canoniche.
Il rinnovamento ravvivò anche la cultura. Infatti alcuni personaggi, come l'editore Giorgio Bertani, spezzarono il cerchio sterile dei dotti veronesi pubblicando, oggi è un primato riconosciuto, le opere di Dario Fo, e di altri scrittori e filosofi d’avanguardia.
Un pittore, Innocente (Dino Scardoni), in compagnia di un gruppo di cui faceva parte anche il fumettista Milo Manara, portò in strada delle lunghe tele coinvolgendo in un esperimento di pittura collettiva la folla. A sua volta il regista Beppe Zambonini tenne delle rappresentazioni in pubblici locali nelle quali degli attori, posti dietro ad una tela bianca, e con un faro alle spalle che ne proiettava le ombre sulla stessa, si permisero di dissertare e contestare i concetti d'arte tradizionali.
Quindi la città, nel bene o nel male, collezionò dei primati, uscendo dal suo anonimo grigiore. Oggi i giudizi dei veronesi sugli anni settanta sono molto discordi. In una breve statistica, intervistando a caso delle persone, abbiamo scoperto che vi sono quelli che addossano tutti i mali di oggi a quel periodo storico, e chi al contrario lo ricorda come un momento di massima creatività e di speranza in una giustizia migliore. In ogni caso abbiamo notalo come, da una parte e dall'altra, l'argomento accenda ancora i cuori e faccia brillare gli occhi, cosa che non accade quando si parla del decennio successivo.
|
|