da un Corriere della Sera del 1994

 

Sette pregiudicati veneti e lombardi dietro l' omicidio del poliziotto: organizzavano rapine

" Giustiziato " dai pentiti

Agente riconobbe tra i banditi l' uomo che doveva proteggere

 

VERONA . Ufficialmente pentiti. In realta' ancora delinquenti. E assassini. E caduto sotto il fuoco di tre collaboratori di giustizia l' agente di polizia Massimiliano Turazza, 29 anni, ucciso lo scorso 19 ottobre mentre rincasava dopo il turno di servizio in questura. Per una tragica beffa del destino, uno dei presunti killer viveva proprio a Verona protetto dalle forze dell' ordine. In teoria lo stesso Turazza avrebbe dovuto preoccuparsi, all' occorrenza, di garantire l' incolumita' di questo confidente, dotato di documenti d' identita' falsi e regolarmente stipendiato dallo Stato, che continuava a organizzare rapine nel Nord Italia insieme con altri complici. Sono sette i pregiudicati veneti e lombardi sospettati del delitto. Per quattro di loro le manette sono scattate l' 11 gennaio, su ordine di cattura del Gip Sandro Sperandio, ma la notizia e' stata resa nota soltanto ieri. Sono Camillo Romano, 34 anni, di Meda (Milano) e Roberto Bragato, 38, di Cermenate (Como), classificati dagli inquirenti come "ex collaboratori di giustizia non piu' sottoposti a regolare programma di protezione"; Andrea Lazzari, 29, di Merano (Bolzano); Antonio Padalino, 34, di Seveso (Milano). Nella tarda serata di mercoledi' il magistrato ha disposto il fermo anche di Alceo Bartalucci, 38 anni, originario di Roma, collaboratore di giustizia in servizio permanente effettivo, che e' stato bloccato nel suo "domicilio protetto" di Verona, di Ciro Romano, 41, fratello del pentito Camillo, e di Riccardo Guglielmi, 28, di Arona (Varese). Sono tutti indiziati a vario titolo di omicidio e rapina. Gli investigatori sono convinti che a sparare su Turazza sia stato un solo malvivente. I sospetti maggiori si appuntano su Bartalucci e su uno dei fratelli Romano. A tradire la gang, permettendo di risolvere un mistero che per tre mesi era sembrato inestricabile, sono stati alcuni filmati dei sistemi televisivi a circuito chiuso installati nell' agenzia di Fumane della Banca Popolare di Verona e nella vicina filiale dell' Istituto San Paolo di Torino. Fumane e' il paese della Valpolicella, a una ventina di chilometri dal capoluogo, dove l' agente Turazza viveva con la moglie Antonella Ugolini, sua coetanea. Alcuni giorni prima del mortale agguato, agli sportelli delle due banche si erano presentati Lazzari e Guglielmi con il pretesto di cambiare 100 mila lire in banconote da mille. In realta' i due banditi avevano compiuto un sopralluogo per decidere in quale istituto di credito mettere a segno un colpo. Scorrendo con pazienza per ore le immagini registrate dalle telecamere, la Criminalpol del Triveneto e la squadra mobile di Verona hanno individuato le due vecchie conoscenze. Da Lazzari e Guglielmi si e' cosi' risaliti a Bragato e Padalino, che avrebbero fornito le armi, acquistate in Svizzera, che dovevano servire per la progettata rapina e che furono abbandonate sul luogo del delitto. Pare che la banda dei collaboratori di giustizia avesse gia' assaltato un centinaio di banche, addirittura non meno di 200 secondo talune fonti. Sempre uguale la tecnica: i fuorilegge penetravano negli uffici di notte e attendevano fino al mattino l' arrivo degli impiegati che, sotto la minaccia di fucili e pistole, venivano costretti ad aprire la cassaforte. Quel 19 ottobre, poco dopo mezzanotte, Bartalucci e i due fratelli Romano si accingevano a espugnare l' agenzia di Fumane della Banca Popolare. Non potevano sapere che a due passi c' era la casa del poliziotto. Con tutta probabilita' , Turazza si qualifico' per identificare uno dei tre, trovati in atteggiamento sospetto. Per tutta risposta l' agente venne fulminato con quattro colpi di pistola calibro 38 alla schiena. Alceo Bartalucci, finito in galera la prima volta durante l' adolescenza, aveva aiutato la giustizia fin dal gennaio del 1992, quando venne arrestato a Prato. Aveva permesso di individuare gli autori di oltre 100 rapine, aiutando anche gli investigatori impegnati contro la malavita del Brenta del boss Felice Maniero. Ha anche deposto nel recente maxiprocesso. Dalla fine del ' 92 usufruiva di tutte le protezioni garantite ai pentiti: stipendio regolare, documenti di copertura e forze dell' ordine a sorvegliare il suo domicilio di Verona.

Lorenzetto Stefano