giovani punk, 1977

1977 e pochi di noi italiani eravamo preparati a quello che stava succedendo nel resto del mondo. Dopo circa un decennio di adeguamento genetico al rock’n’roll,  avevamo una generazione (i 15-20enni di allora) cresciuta ascoltando solo Doors, Stones, Genesis, Gong, Beatles e Zappa. I complessi  tipo Area o PFM avevano smesso di fare solo cover e non sfiguravano nemmeno troppo rispetto agli stranieri, anzi stavano cercando una soluzione più universalmente piacevole e viscerale / mediterranea rispetto a quelle offerte dai vari Soft Machine alla PROG-ressione del Rock. Anche i nostri cantautori come Camerini, Finardi, Rocchi stavano cominciando a recepire e a ritrasmettere i messaggi che venivano da quello che adesso chiamiamo il Paese Reale. La rabbia ideologica della nostra gioventù repressa aveva trovato un canale nella lotta al sistema anche, ma non solo, armata, e c’era pieno di gente coi jeans e i capelli lunghi: forse, qualcosa stava per cambiare nella mentalità tipica nostrana, grazie anche alle battaglie dei Radicali sul divorzio, l’aborto e gli omosessuali, che minavano, come mai niente prima e forse anche dopo, il diritto della Chiesa di farci la Legge.

doppiovu

molte immagini sono tratte da questa rivista del dicembre 1977, forse l'unica in Italia ad avere tentato un approccio meno sensazionalistico al fenomeno.

clicca sull' immagine a sinistra per leggere l'intervista a questi giovani ribelli (non è male, per i tempi!!!)

Insomma, l’Italia stava proprio per integrarsi nell’establishment “In” dell’Underground internazionale, ma a quel punto arriva un telex  (erano i nonni dei fax e delle e-mail) da Londra che dice pressappoco così: sono arrivati degli sbandati, a cui non frega più niente di Hendrix, dei Beatles e neanche di te, della tua Nazione e del tuo Dio: vogliono solo divertirsi e far casino, senza strutture ideologiche, pensano che Volere una cosa significhi Poterla fare, sono giovani e arrabbiati per tutto quello che non gli viene permesso e se lo prendono sbattendosene di tutti e di tutto, mischiano Marx e Hitler, alcuni parlano di Situazionismo o di Yukio Mishima, altri non parlano proprio se non bestemmiando, vivono in case occupate, vestono strano, bevono, fumano e si fanno di colla e di altri solventi, quando da noi i più sconvolti si facevano le canne ascoltando gli Eagles o i Gentle Giant, andavano alle manifestazioni con il pugno chiuso e, ovviamente, vivevano in famiglia (non succede più, vero?).

I giornalisti, subito inviati a verificare, non capiscono niente ma mandano le foto: ragazzi con capelli dritti, magari colorati, sparati in testa che sembrava avessero infilato le dita nella presa prima di uscire, vestiti strappati e con varie scritte offensive, svastiche, cravatte slacciate, le mitiche spille da balia infilate da qualche parte e le spillette rotonde dappertutto, ragazze truccatissime in minigonna di pelle nera portate col guinzaglio per la strada, altre ragazze con mezza testa rasata: il tutto pubblicato sui giornali da parrucchiere tipo Oggi e Gente. Ebbe lo stesso rilievo nella psiche collettiva del Belpaese delle foto di barboncini dipinti di rosa, più o meno nullo. Nemmeno la stampa musicale ritenne il fenomeno, che comunque il Inghilterra stava già portando sconosciuti in hit parade, poco più di una moda passeggera, e lo ignorò: se ne parlava, puntava il dito principalmente sul presupposto Fascismo del punk, teoria basata sulla famosa svastica esibita da Sid Vicious, il che voleva dire “noi non vogliamo averci niente a che fare”. Il messaggio di rabbia e alienazione che partiva dall’Inghilterra era troppo basilare e troppo poco intellettualizzato per poter essere preso seriamente dai nostri alternativi. Però a Carnevale di punks in giro ce n’erano tanti, era considerato un costume divertente, realizzabile con poco e alla moda.

 

una delle prime manovre dei discografici italiani per riuscire a vendere la moda del momento
new wave special price
(clicca sull'immagine per vederla a grandezza naturale)

Gli unici che avevano visto i punks direttamente erano i figli di papà che andavano a studiare l’inglese a Londra, e che tornavano stravolti. Il punk, in Italia, l’hanno fatto loro, prendiamone atto (tra l’altro, erano anche gli unici a potersi comprare i dischi di importazione). Tornati dal mese a Londra, andavano in vacanza al mare o in montagna e facevano ascoltare la musica che avevano portato ai compagni di villeggiatura, e poi anche nelle loro città, e qualche volta facevano adepti. Così il punk cominciò a diramarsi. E raggiunse, lentamente, anche ragazzi che tanto figli di papà non erano, e cominciarono a formarsi dei gruppetti, delle compagnie, che riunivano ragazzi da tutta la provincia, di solito gli emarginati della loro zona, e qualcuno provava anche a suonare, nelle metropoli cominciò a circolare qualche fanzine. Ma questo succede verso la fine del 77, all’inizio del 78, quando in Inghilterra la minestra era già tutta cambiata: dal grezzume degli inizi erano già uscite molte sofisticazioni, molti complessi che avevano fatto la storia degli albori del punk proponevano già rivisitazioni più introspettive o si erano commercializzati, tutto si stava evolvendo, era già la seconda ondata del punk con Angelic Upstarts e UK Subs,  la New Wave si era distaccata e provava a trovare la sua strada, ma qui da noi si dovevano ancora scoprire i Clash e i Pistols!

Rockerilla di Claudio Sorge fu il primo giornale a distribuzione nazionale a dedicarsi ai nuovi fermenti, ma si faceva una fatica bestia a trovarlo, a Verona ne arrivavano 2 copie, tanto per dire! In televisione neanche a parlarne, qualcosa a l’Altra Domenica  di Arbore ( i Ramones, Joe Jackson), un servizio di Odeon, e praticamente basta.

 

Nel 1979 venne a trovarci la “poetessa punk” Patti Smith, e ci parlò dell’appena defunto papa Giovanni Paolo I. Gran clamore dei media, c’erano tutti i freak italiani e l’intellighentsia, ma non si può parlare di attinenza alla nostra storia.volantino del 1° Festival Punk a Treviso Alcuni complessi inglesi però vennero in Italia, come Adam & the Ants o i 999, non lo sapeva praticamente nessuno nè che suonavano nè dove nè chi erano, ma alcuni anche li videro. A Milano cominciava a esserci qualcosa, alla Palazzina Liberty avevano fatto venire anche complessi da altre province, c’era un certo “giro”.  Le prime vere “riunioni” a livello nazionale coincisero con il tour dei Ramones nel febbraio dell’80, di supporto gli UK Subs. Per la prima volta i “kids” nostrani si vedevano, e si contavano (atmosfera fortemente presa a prestito dai Guerrieri della Notte...). Il richiamo dei fratelli Ramone era stato troppo forte, così alle quattro date di Reggio Emilia, Udine, Torino e Milano erano confluiti anche tutti i punks che vivevano nel raggio di 200 e più chilometri dal luogo del concerto. Sì, perchè mentre a Milano o a Londra chi vuole vedersi un concerto ci va in metropolitana, qui siamo abituati ad andare distante, ore di macchina o treno, sempre: ci vuole fegato, da noi, e anche un portafoglio pieno, per andare a tanti concerti!  Sempre a febbraio 1980 a Treviso fu organizzato il “1° Festival Punk Italiano”, con le Clito e i Jumpers di MI,  i Waalt Diisneey Productions di PN e altri, un pò di gente c’era da diverse parti d’Italia, anche Claudio Sorge non mancava. Per la cronaca, alcuni complessi arrivarono in vesti perfettamente "borghesi", si infilarono nel cesso e ne uscirono tutti "bardati"... non faccio i nomi, tranquilli.

ragazzi di Verona al 1° festival punk di Treviso

clicca sulla foto per gustare la storia del punk a Verona!

Da lì in poi le cose sono state un pò meno sotterranee, ma, appunto, il fenomeno vero e proprio del punk in Italy nacque allora, quando all’estero gli Exploited facevano uscire “Punk’s not Dead”, un pò come i politici che affermano che tutto va bene.

il volantino distribuito al concerto dei Clash in piazza Maggiore a Bologna il 1 Maggio 1980

 

volantino

 

(clicca sull'immagine per vederla a grandezza naturale)

 

Il 1980 portò anche Damned, Police, Cramps, Pop Group. Slits, e in Piazza Maggiore a Bologna l’amministrazione comunale organizzò il concerto dei Clash (con il servizio d'ordine del PCI: e erano grossi...!). Proprio lì apparve lo striscione, preparato dai RAF Punks di BO ma sostenuto da tanti, “CRASS NOT CLASH”: i ragazzi si erano stufati anche del pop-punk-sinistrorso-commerciale alla London Calling e chiedevano che la musica si impegnasse in quello che affermava, e i Crass, gruppo ultra-politicizzato ambientalista e animalista, erano la risposta al desiderio di impegno radicale ma non inquadrato. Così come avveniva in Inghilterra, il punk si spostava verso forme ancora più estreme: l’anarchismo e l’hardcore come ripudio del divertimento o dell’introversione new wave. E mentre là nascevano i Conflict e i Disorder, da noi era tutto un giro di concerti autogestiti con protagonisti complessi italiani: Wretched e Nabat erano riusciti a imporsi come primi protagonisti di questo panorama, ed erano credibili, perchè a quel punto non si trattava più di emulare atteggiamenti da rockstar che avevano cominciato ad ostentare anche i primi alfieri del punk, come Siouxsie, ma comportamenti coerenti con i discorsi che si facevano, talmente coerenti che divennero subito abbastanza pallosi. Il tentativo di organizzare la vita nei circoli punk stile Virus a MI, con dibattiti infiniti per decisioni collettive, alienò tutti quelli che nell’”Anarchia, Chaos e Distruzione” dei Damned avevano creduto, e quindi il movimento, pur crescendo, si ritrovò ancora più ghettizzato di prima, perchè adesso aveva preso le distanze anche da molti dei suoi sostenitori iniziali. A questo punto le cose cambiano: moltissime abitudini che i primi punks ritenevano aberranti (uno degli slogan più usati dai Sex Pistols era "never trust a hippie", mai fidarsi di un hippy) diventano pratica comune nel post-1984, come i capelli lunghi e gli eskimo: c’è la fusione tra il punk e il freak in quello che da noi viene denominato punkabbestia, il progenitore dell'inquilino di Centro Sociale....

continua

 

 
 

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